Dopo la firma del memorandum of understandingsulla nuova via della Seta, avvenuta a Roma a fine marzo, il premier Conte è volato in Cina per prendere parte al Forum di Pechino sulla Belt and Road Initiative, al quale prenderanno parte ben 37 capi di Stato provenienti da tutto il mondo.
Il mastodontico progetto cinese da 1 trilione di dollari, che intende collegare Asia, Africa ed Europa con una rete di infrastrutture marittime e terrestri, ha già destato i vivi timori di Washington e Bruxelles, preoccupati innanzitutto per l’opacità e la scarsa trasparenza della Cina nelle sue manovre economico-finanziarie. Nel corso del suo intervento al Forum di Pechino, il presidente cinese Xi Jinping ha affermato che “miglioreremo leggi e regolamenti, la supervisione su mercati e altre aree, libereremo e aboliremo i regolamenti irragionevoli, i sussidi e le pratiche che impediscono la competizione equa distorcendo il mercato”, aggiungendo che la BRI deve essere un progetto “trasparente ed economicamente sostenibile”. Nonostante le rassicurazioni del presidente cinese, in Occidente la BRI è tuttora guardata con sospetto, se non con aperta malevolenza.
Il rischio, paventato da molti, è che la nuova via della Seta finisca per favorire soltanto la Cina, senza nessun sostanziale vantaggio per gli Stati coinvolti nel progetto (tra i quali l’Italia), con la possibilità di perdere interamente o in parte alcuni fondamentali asset strategico-infrastrutturali, come i porti. L’Italia, dal canto suo, spera di incrementare il proprio export verso Pechino, attualmente fermo ai 13 miliardi del 2018 (quello tedesco sfiora i 100 miliardi annui).
“La priorità assoluta, per il premier Conte, deve essere rappresentata dalla tutela dell’interesse nazionale – afferma Stefano Maullu, europarlamentare di Fratelli d’Italia; - Il nostro Paese non può rinunciare alla connettività infrastrutturale e all’export, ma non può nemmeno voltare le spalle con tanta leggerezza a un alleato storico come gli Stati Uniti. Fino a questo momento, il governo ha affrontato il dossier sulla BRI con superficialità e pressappochismo, mettendo a rischio la nostra reputazione internazionale.
La speranza è che il Forum di Pechino possa servire concretamente per chiarire la natura degli accordi sui porti di Genova e Trieste, due infrastrutture fondamentali che l'Italia dovrà difendere ad ogni costo. Un altro dossier chiave è quello sulla reciprocità: gli accordi stipulati con la Cina devono essere vantaggiosi soprattutto per l’Italia, specialmente in termini di export e di valorizzazione del Made in Italy, o non avranno alcun senso. All’inizio del suo mandato, il premier Conte si presentò come l’avvocato del popolo. Ora dovrà dimostrarlo con i fatti, difendendo l’Italia e i suoi interessi dalla minacciosa avanzata della Cina”.
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Autore: Redazione BeGlobal