E' dei giorni scorsi la notizia che, dopo anni di tentativi e trattative dietro le quinte, il governo statunitense e i talebani sarebbero giunti a un accordo per mettere fine al conflitto esploso in Afghanistan dopo i tragici fatti dell'11 settembre 2001. Un conflitto che si è trasformato in uno stillicidio infinito e in una delle guerre più lunghe e sanguinose della storia americana: si parla di mezzo milione di vittime, fra le quali più di 7.000 soldati statunitensi. Ecco perché Donald Trump, durante la campagna elettorale, aveva posto fra i suoi obiettivi il raggiungimento della pace in quei territori, un risultato che nemmeno Obama era riuscito a ottenere.
Ora l'inviato Usa Zalmay Khalilzad ha annunciato, dopo anni di approcci falliti, la stesura di una bozza di accordo con i talebani: si tratta di un passo fondamentale ma, nello stesso tempo, di una situazione ancora in divenire e con aspetti di fragilità che non possono sfuggire a un occhio esperto.
La pacificazione avviata dai soggetti in conflitto, infatti, prende spunto da alcune richieste formulate dagli Stati Uniti in cambio dello smantellamento della forza militare che, attualmente, vede impegnati sul campo 14.000 soldati. Uno spiegamento di forze imponente che Trump è disposto dapprima a dimezzare e poi a ritirare del tutto in cambio, innanzitutto, della promessa da parte dei talebani che il territorio afghano non sarà più disponibile come base per organizzazioni terroristiche come Al Qaeda, che in passato proprio dall'Afghanistan ha pianificato l'attacco aereo a New York.
Vi sono poi altre due condizioni delle quali si sta discutendo, e che appaiono per ora di attuazione più complessa: il cessate il fuoco immediato e l'inizio di colloqui diretti con il governo di Kabul, condizioni che per ora non hanno ottenuto l'approvazione dei vertici talebani. Nonostante queste difficoltà, comunque, Khalilzad si è mostrato ottimista su una soluzione rapida e definitiva del conflitto e sul ritorno a casa delle truppe americane, risultato che sarebbe ovviamente gradito a tutti e che rappresenterebbe un indubbio successo mediatico e operativo per il Presidente Trump.
Resta il fatto che vi sono ancora molti passaggi da fare e che la pace, sia pure più vicina, è ancora da conquistare: per ora, come ha sottolineato l'inviato americano, siamo ancora a una sorta di “bozza di pace”. Anche per questo, le dichiarazioni del ministro Elisabetta Trenta sulle conseguenze che gli ultimi sviluppi di politica internazionale potrebbero avere sulla missione italiana in Afghanistan sono veramente sconcertanti. Il ministro Trenta, infatti, avrebbe dichiarato che in seguito alla decisione di Trump di ritirare metà delle truppe americane con effetto quasi immediato, anche l'Italia avrebbe deciso di riportare a casa il suo contingente militare dal Paese mediorientale. Un contingente apprezzato da tutti, che si fa onore dal 2003 e che fa orgogliosamente parte dell'esercito occidentale inviato per combattere il terrorismo e per garantire al mondo intero pace e sicurezza.
Ora, è ovvio che le decisioni del nostro Paese saranno in linea con lo sviluppo dei nuovi accordi internazionali e che, lo speriamo tutti, i nostri soldati potranno presto tornare a casa insieme a tutti gli altri partecipanti alla missione afghana. Quello che appare inconcepibile, però, è il comportamento del ministro, che ha annunciato la notizia del ritiro dei soldati italiani direttamente alla stampa senza nemmeno informare il ministro Moavero e la Farnesina. Si tratta di una scorrettezza istituzionale senza precedenti che, oltretutto, minaccia di creare difficoltà al nostro contingente ancora impegnato in una difficile missione in territorio nemico.
E' inaccettabile che un importante rappresentante del nostro governo improvvisi dichiarazioni dilettantesche e pericolose su argomenti di tale delicatezza. Il risultato positivo che tutti auspichiamo, infatti, potrà essere raggiunto solo se tutte le forze coinvolte sapranno agire con professionalità, discrezione e intelligenza. Per questo chiediamo al governo italiano di smentire iniziative unilaterali e di svolgere il proprio compito con discrezione e senza improvvisazioni non degne del ruolo che ricopre.
Autore: Paolo Cagnoni