Siberia

  • 27 settembre 2019
Siberia

Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Stalin poteva contemplare con sufficienza, dall'alto in basso, Mao Tse-tung, un “compagno” un po’ disgraziato con gli occhi a mandorla. Pare comunque che Mao avesse un’ottima opinione del russo. Gli fece visita a Mosca nel 1949 - un po’ da supplicante - in occasione del suo settantesimo compleanno. Alla morte di Stalin, nel 1953, la Cina gli tributò una montagna di onori.

Da sempre i due imperi, indipendentemente dalla leadership, si guardano se non in cagnesco, almeno con perdurante diffidenza. Negli ultimi decenni però il manico del coltello - storicamente più dalla parte russa - sembra essere passato definitivamente ai cinesi.

Una volta Mosca e Pechino erano molto distanti l’una dal'’altra e ciò che succedeva al lontano confine poteva essere ignorato con sdegno se necessario. Ancora nel 1967, quando le Guardie Rosse di Mao presero d'assedio l'ambasciata sovietica a Pechino, la situazione non degenerò, come nemmeno l’anno dopo, quando truppe sovietiche attaccarono le guardie di frontiera cinesi sul fiume Ussuri - ma si tratta di episodi contingenti. Ora invece il mondo è molto più piccolo e interi popoli sono in movimento, come anche i baricentri economici.

Il crollo dell’Urss ha comportato anche il collasso dell’agricoltura siberiana. Le terre coltivate sono scese del 39%, -13,7 milioni di ettari. Si stima che dal 2007 solo 1,1 milione di ettari di questi sono tornati in produzione, lasciando la Siberia con una delle maggiori “riserve” di terreni agricoli incolti nel mondo.

Purtroppo, i russi non hanno le risorse economiche per svilupparla. La Cina forse sì, e lo fa anche notare con irritante insistenza, almeno vista da parte russa.

Il confine comune tra i due paesi è lungo 3.400 km ed è praticamente indifendibile. A sud della linea c’è la popolosa Cina, vorace di risorse. A nord invece, la vuota vastità siberiana -larga 6mila km e più grande dell’intera Europa e del Brasile messi insieme. Malgrado la comune percezione occidentale, non è solo un deserto artico buono per installarvi dei Gulag e per sostenere occasionali cacciatori di pellicce. Il potenziale agricolo della Siberia è enorme - specialmente in vista del riscaldamento globale.

Si attende che la domanda alimentare mondiale crescerà tra il 59% e il 98% entro il 2050. Quegli alimenti devono pur venire da qualche parte. È un imperativo che dovrà per forza essere soddisfatto, e ad ogni costo... 

Poi c’è l’energia, un altro appetito cinese. Quando la Russia cede il gas naturale della Siberia e dell’Asia Centrale all’Europa, acquisisce un’arma di ricatto: “Buoni, o vi facciamo passare un inverno al freddo”. Se vende lo stesso gas ad est, ai cinesi, sa che in fondo nulla osta a che il PLA - il People’s Liberation Army - passi la frontiera per riaprire i rubinetti se si chiudono.

La storia non è, come si pensava qualche anno fa, “finita”. Lo sanno i cinesi, lo sanno anche i russi. Ma nei fatti la Cina non ha bisogno di invadere militarmente la Siberia per prendere ciò che gli serve. Quello lo può fare con l’industria, il commercio e la finanza cinesi - con il PLA sempre lì per ricordare che i patti sono patti e che i contratti si rispettino..

Su di me

James Hansen

James Hansen is a former diplomat and journalist. After serving in the American Foreign Service in various capacities, he was posted to the U.S. Consulate General in Naples as Vice-Consul. Remaining in Italy as a correspondent for, among others, the International Herald Tribune and the Daily Telegraph, he later became spokesman for some of the country's best known business figures, including Carlo De Benedetti and Silvio Berlusconi. More recently he acted as Chief of Press of Telecom Italia. Today he is President of a Milan-based consulting firm, Hansen Worldwide, which advises leading Italian industrial groups on their international relations. He has edited the geopolitical review EAST and today directs the widely-read Nota Diplomatica, which appears weekly.