I cinque pilastri dell’Islam sono shahada (conoscenza), salat (preghiera), zakat (carità), siyam (digiuno) e hajj (pellegrinaggio). Il Governo egiziano pare avere deciso di aggiungerne un sesto: l’architettura. A febbraio ha annunciato che tutte le moschee del Paese dovranno adeguarsi ad un unico stile architettonico approvato dallo Stato. Verrà prossimamente emesso il bando per la gara che determinerà con precisione che faccia debbano avere i luoghi di culto islamici in Egitto.
Il provvedimento non riguarda solo le nuove costruzioni, ma anche le 102mila moschee egiziane pre-esistenti — le più vecchie hanno oltre mille anni di vita — che presentano un enorme varietà di approcci architettonici. Anche queste, come arrivino ad essere restaurate, dovranno adeguarsi al nuovo canone estetico unico. Si estende, oltre alle moschee già controllate dallo Stato — l’83 percento — pure a quelle di proprietà privata. Il processo sarà gestito dal potente e chiacchierato Ministero per gli Awqaf — per le “fondazioni pie” — creato per amministrare i beni delle fondazioni islamiche espropriate dopo il colpo di stato “arabo-socialista” di Nasser del 1952.
L’esproprio aveva anche l’effetto di rendere i membri del clero islamico degli impiegati pubblici, una circostanza che perlopiù perdura. La necessità di uniformare l’estetica delle moschee è attribuita a un processo di rinnovo urbanistico nazionale.
“Il design code per le moschee fa parte dello sforzo governativo di dare a questi edifici un carattere speciale che arrivi dalla storia e dalla civiltà islamica”, ha detto a Al-Monitor il Capo del Dipartimento Religioso del Ministero per gli Awqaf, Gaber Taye. Lo Sceicco Shawki Abdel-Latif, il Sotto-segretario del Ministero, ha descritto il provvedimento come: “a breakthrough in urban design”, aggiungendo che il Governo darà la priorità iniziale al rifacimento delle moschee storiche: “È più logico concentrarci su ciò che esiste già che spendere soldi per moschee future”, ha detto, senza scendere in particolari riguardo al finanziamento di un progetto che promette dei costi estremamente alti.
Visto lo stato non brillante delle finanze pubbliche egiziane, c'è da chiedersi perché si diano questa pena.
Certo, uniformare tutte le moschee dovrebbe agevolare l’ulteriore estensione del potere statale su quella parte del clero islamico ancora in qualche modo autonoma, vista la possibilità di imporre “restauri” costosi anche ai luoghi di culto non già sotto il controllo pubblico. Potrebbe anche aiutare a contrastare le ambizioni architettoniche di altri Stati — la Turchia e, in modo particolare, l’Arabia Saudita — coinvolti in una sorta di gara internazionale per conquistare influenza nel mondo islamico attraverso una competizione nella costruzione e il restauro di moschee un po’ ovunque.
I sauditi — eterni concorrenti degli egiziani nel Medio Oriente — sono particolarmente attivi. A partire dagli anni ottanta Riad ha cominciato a finanziare la costruzione di moschee, scuole e centri islamici in numerosi paesi per una spesa stimata in oltre 45 miliardi di dollari statunitensi. Secondo il quotidiano saudita Ayn al-Yaqin, già nel 2002 questi finanziamenti avevano contribuito alla costruzione di 1.500 moschee e 2.000 centri islamici. Poi ci sono le iniziative di facoltosi cittadini sauditi, come il contributo personale dell’ex sovrano Faysal di 50 milioni di dollari per la costruzione della moschea di Roma.